Interferenze, sovrapposizioni, sovrastazioni. Così Carlo D’Oria, con i suoi ultimi lavori, ci parla ancora dell’Uomo. Ma questa volta l’accento si posa sulla smania dell’ego scalpitante che da sempre (e sempre più) s’affanna a primeggiare, sulla compulsività narcisistica della prima persona e sulla sua maniacale liturgia autocelebrativa, sull’Io sopraffattore dell’altrui spazio vitale. Un Io vorace e prismatico, dai molti sé, che si ostina a recitare a soggetto. Anzi, che continua a credersi l’unico vero soggetto, almeno sul pianeta che ha la ventura di ospitarlo.Per descrivere la smaniante regolatrìa dell’essere umano, ha scelto, in verità, di abrogare il soggetto, di “svuotarlo” e di renderlo appena una sagoma. Una sagoma che, inevitabilmente, va a interferire con i profili altrui. Ed è proprio nel momento cruciale dell’interferenza che il gioco prende vita. Come per magia.
L’interferenza tra una sagoma e l’altra, insomma, finisce per armonizzare le diverse forme, in un contrappunto di linee che conserva l’immediatezza dell’improvvisazione, senza tradire la sofisticata complessità di un’architettura formale meticolosamente studiata attraverso il disegno.
Interferenze, sovrapposizioni, sovrastazioni: punti mentali che tracciano traiettorie nello spazio e proiettano ombre sui muri (ecco la vera tridimensionalità di queste sculture, una tridimensionalità fantomatica, di luci e ombre riflesse). Così Carlo D’Oria, a modo suo, ci parla di individualismo e individualità.